Calcio - 18 gennaio 2019, 09:58

A TU PER TU con Francesco D'Arrigo

Coach Martini intervista l'allenatore/scrittore: da Pontedera-Italia 2-1 all’evoluzione per essere un uomo libero

A TU PER TU con Francesco D'Arrigo
Coach Francesco D’Arrigo nella sua carriera di difensore ha militato unicamente in squadre toscane, riuscendo a sommare 65 presenze in serie B con le maglie di Pistoiese ed Empoli ed un gol all’attivo.
 
La carriera da allenatore lo vede impegnato in 17 campionati di serie C di cui numerosi con Pistoiese, Empoli, Cuoiopelli e Lucchese, formazioni in cui aveva militato da giocatore.
Ora ha il compito di illuminare la strada degli allenatori che si cimentano nei corsi UEFA A e B che tiene per conto della Federazione. E’ autore di due splendidi libri che trattano il gioco del calcio con un amore viscerale il primo: Il senso del gioco; il secondo appena uscito nelle librerie: Il primato del gioco, la comunicazione didattica nel calcio.

Buonasera coach, tutto bene? Come va il libro? Soddisfatto?

Si tutto ok, il libro mi sembra che sia stato accolto bene, genera molto interesse.

Avevo idea di iniziare l’articolo presentandola come giocatore, mister, fino alla posizione attuale di formatore di allenatori, attraverso le sue metamorfosi, le va bene?

Si può andar bene, se le metamorfosi sono spiegate bene (…ride)

Mi piacerebbe raccontare il viaggio, il suo viaggio nel mondo del pallone.

Si ho capito, il passaggio cruciale è stato quello di essermi accorto, gli ultimi anni che allenavo, che l’approccio al gioco aveva bisogno di una riflessione profonda sulla sua origine e che era necessario approfondire in forma sistemica tutti i suoi elementi.

Mentre prima, da giocatore e poi da mister, il calcio lo ha sempre visto dallo stesso punto di vista?

Esatto, vuoi perché da giocatore non ti poni mai il problema di dover trasmettere un qualcosa, ma hai solo la necessità di eseguire dei compiti e di esprimere le tue abilità. Poi da allenatore sono stato formato secondo la visione molto sistematica e deterministica degli anni 90. Quindi le visioni avevano solo un’unica prospettiva.

Che cosa le ha fatto pensare di dover cambiare qualcosa?

Quando allenando mi rendevo conto della poca motivazione che riuscivo a determinare nei giocatori, di conseguenza sono diventato io insoddisfatto del mio lavoro, anche se era lo stesso lavoro che era stato apprezzato negli anni precedenti.

Capisco, evidentemente si cresce quando si cambia, o si cresce cambiando?

Io ho recepito il bisogno di fermarmi, di smettere di allenare per concentrarmi su me stesso, su di un’analisi più profonda del gioco ed ho iniziato a studiare, a cercare di trasmettere conoscenze diverse, approfondendo gli argomenti con pazienza (cosa impossibile da fare mentre alleni una squadra). Recependo il grande interesse che riuscivo a suscitare, mentre trasmettevo le mie riflessioni sul gioco, nei miei corsisti ho capito che il senso era quello giusto. Quindi ho capito che per crescere dovevo cambiare il mio livello di conoscenza, dovevo rimettermi in discussione, più che per crescere per essere più libero di essere.

Bellissimo, crescita dell’io come essere umano, lo sport diviene mezzo di crescita…

Beh per me il gioco del calcio è stato ed è la mia passione più profonda, è stato ed è il mio lavoro, mi circonda da sempre ed era inevitabile che solo il gioco potesse diventare il mezzo attraverso il quale potessi cercare di crescere e di essere più libero di pensare e, quindi, di essere me stesso come uomo

Torniamo indietro nel tempo, Pontedera – Italia 2-1, lei ha fatto tremare i polsi a tutta l’Italia battendo la nazionale di Sacchi poco prima di USA ’94, mi racconti come ha vissuto questa strepitosa avventura dal punto di vista emozionale.

Al momento è stato un ciclone di emozioni, soprattutto, perché è successo tutto all’improvviso, non era assolutamente immaginabile. Poi rielaborando il tutto mi sono sempre più convinto che in quella partita abbiamo vinto perché lo abbiamo meritato. Al momento avevo maturato una sensazione latente poco chiara che adesso, invece, ho totalmente fatta mia, cioè la convinzione che nel calcio il concetto di incertezza e di imprevedibilità sono fondamentali in quanto esistono realmente nel gioco stesso. Questa convinzione mi fa apparire una metodologia di allenamento completamente diversa. Quindi, adesso posso dire, che quella partita è stato come un segnale chiaro di un mio possibile cambiamento interiore e che solo da pochi anni ho potuto riconoscere nella sua origine.

Lei ha scritto due libri: Il senso del gioco, il primo, l’ho letto in tre giorni, e ho ricevuto le stesse sensazioni che ebbi da ragazzino quando andai al cinema a vedere “Rocky II” , tornai a casa di corsa fendendo pugni nell’aria… ora il nuovo, l’ho appena cominciato, e di nuove scorre adrenalina in me: li può raccontare ai lettori di Coach Martini on air?

Il senso del gioco è stato come un urlo, avevo voglia di manifestare con forza, una ribellione a tutta una serie di luoghi comuni che accompagnavano la scoperta del gioco, volevo far sorgere dei dubbi, delle domande, per sconfiggere un processo anestetizzante, quello di continuare a credere che solo la scienza potesse servire ad allenare, perché con la scienza era possibile fornire soluzioni, separando costantemente le parti del gioco. Il secondo libro è una riflessione più calma, profonda che tiene conto dei fattori emozionali e che cerca di avviare un percorso di pratica reale sul campo che possa convogliare l’urlo del primo libro verso una forma comunicativa più chiara e capibile.

Leggendo il suo urlo mi sono accorto che molte delle mie convinzioni trovavano conferma nelle sue parole. Lei sa che seguo la filosofia di pensiero Weiniana, sa che vedete il calcio in maniera similissima?

Si Horst è un bel modello

Allora cosa non le piace della sua metodologia?

Non mi piace perché è irreale, illogico. Il gioco è di chi lo gioca dei giocatori, loro devono trovare le soluzioni di volta in volta, a seconda delle situazioni. Noi allenatori possiamo solo definire un alfabeto, i principi di gioco, che possono aiutare i giocatori a parlare la stessa lingua e, quindi, ad avere maggiori possibilità di trovare le soluzioni più efficaci.

A questo punto confido al coach che mi piacerebbe confrontarmi con lui vis a vis su questo argomento, proseguire durante l’intervista sarebbe tortuoso anche se interessante.

Nel suo nuovo libro si mette a parlare con l’Entità (il gioco), è un dialogo interessante.

Si è un dialogo immaginario che mi serviva per evidenziare le caratteristiche specifiche del gioco.

Mi hanno colpito due cose: la prima l’ammissione di maggior divertimento nel possedere la palla, ma non è un rischio parlarne con la squadra? La seconda il senso di etica nel suo concetto di vittoria. Caratteristiche inattaccabili dalle quali discendono tutti i contenuti del libro e le progressioni didattiche

Rischio di cosa?

Di dare l’alibi che recuperare palla è meno divertente e quindi più faticoso

No, nell’ottica che voglio cercare di far riconoscere c’è che il gioco è uno, le due fasi attacco e difesa si autoalimentano e fanno parte del giocare. Il divertimento è chiaro quando abbiamo la palla, ma la consapevolezza etica che ci sono anche gli avversari, che cercano pure loro di divertirsi giocando la palla, deve portare il giocatore a vivere con gioia anche il momento difensivo.

Ok Coach, cosa dobbiamo aspettarci adesso dalla sua evoluzione? E quando la vedremo ricoprire un ruolo importante in seno alla federazione?

Beh a questa domanda non posso risponderti, semplicemente perché ho smesso di aspettare, voglio solo concentrarmi sul presente, sul mio adesso, su ciò che riesco a fare al momento.

Grazie Coach, soprattutto grazie di rendere con le sue idee il calcio meno ignorante, calcio e cultura possono realmente convivere?

Devono assolutamente convivere e riconoscersi l’uno nell’altro, ormai solo aumentare il livello culturale di tutti coloro che s’interessano di calcio (giocatori, allenatori, genitori, dirigenti, giornalisti, tifosi) può determinare una svolta fondamentale per poter fornire sempre migliori opportunità di scoperta del proprio talento a tutti quei bambini che amano il calcio.

Grazie Coach, è stato un piacere parlare con lei. Buona serata.

Marco Martini

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