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Musica | 06 febbraio 2019, 16:16

Un disco a settimana

E' la volta di The Shape of Things to come di George Benson

Un disco a settimana

Da una delle chitarre più eclettiche dell’intero panorama musicale mondiale, nel 1968, esce un caolavoro dal titolo “The Shape of Things to come”.

E’ George Benson che tira fuori dal cilindro questo splendido coniglio bianco, forse il grande pubblico conosce il chitarrista di colore soprattutto per una splendida hit del 1980 che ancora oggi viene usata come “riempipista” nelle serate revival, “Give me the night”. L’album in questione invece, di “disco” ha veramente nulla, basti pensare che per eseguire i sette pezzi che compongono questo “disco d’essai” sono stati impiegati ventuno strumenti musicali, tra cui alcuni veramente particolari tipo il filicorno, il vibrafono, l’ottavino. Il sound che arriva alle nostre orecchie è raffinato, elegante, la sua chitarra, la sua Ibanez, lo accompagna come se fosse un prolungamento della sua anima soul, ma anche jazz, a volte blues, scivolando nell’R&B, schiacciando l’occhiolino al Funk. Il primo brano dell’album “Footin’ it” inizia con un garbato riff del “ragazzo” di Pittsburgh, sembra quasi che non abbia voglia di suonare seriamente, ma si stia divertendo a stupire se stesso e gli altri, traccheggiando con le stesse note, sembra quasi di percepire il rumore del plettro quando incontra le corde della Ibanez, ma che faccia parte di un insieme prestabilito, pianificato, siamo di fronte ad un’opera di ingegneria musicale impreziosita da virtuosismi estemporanei. In effetti anche il titolo dell’album e la copertina ricordano un attenta gestione ingegneristica della musica “La forma delle cose che verranno” è rappresentato da un disegno pulito, essenziale, intimamente futuristico. Intanto Benson in Face it boys it’s over ci regala musica di una dolcezza, di una rotondità anomale alla fine degli anni sessanta il sound creato da chitarra e sax non ha spigolosità, non è musica di protesta, di ribellione, non ha la spinta rivoluzionaria alle spalle degli anni sessanta non rifiutando, ma non curandosi delle tracce lasciate da Beatles ed Hendrix, è sound che nasce dal cuore, l’anima nera, soul, di uno dei più grandi chitarristi della musica moderna. Il terzo e quarto brano sono di una bellezza sconvolgente, non ve ne parlo, ma se avete letto fino a qui non potete non ascoltarli “Shape of things to come” e “Chattanooga Choo Choo” li dovete scoprire voi, in silenzio, al buio o ad occhi chiusi, possibilmente in cuffia, ad un volume medio-alto per poter essere avvolti dal fascino che queste due canzoni esprimono. Quando avrete finito di ascoltare questo magnifico disco cominciate a riflettere sulla modernità dei suoni espressa, ricordando che correva l’anno 1968.

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