Roberto Castagna, 53 anni, allenatore Uefa B, Mental Coach in PNL, architetto, da qualche anno ha intrapreso un percorso da “motivatore” nell'ambito calcistico. Uomo di campo (ha allenato due anni nel settore giovanile della Sampdoria, da giocatore vanta 25 anni di carriera con una esperienza di 7 anni in serie D), nell'ultimo periodo ha lavorato molto anche “fuori” dal campo, mettendo a frutto i suoi studi di Programmazione Neuro Linguistica.
Da quest'anno cura per noi una rubrica, affrontando tutti gli aspetti “mentali” e “motivazionali” dell'ambito calcistico.
“La passione per il campo -spiega- resta superiore a quella di lavorare “fuori” dal campo. Ho voglia di tornare ad allenare, e l'ideale per me sarebbe mettere a disposizione le mie conoscenze sugli aspetti mentali ed abbinarle al ruolo di allenatore “tout court”.
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Questa settimana con Roberto Castagna affrontiamo il tema del rapporto fra “vecchi” e giovani sul campo e all'interno di uno spogliatoio.
Partiamo dai giovani. Proprio in questi giorni sono scoppiate le polemiche sul premio di valorizzazione dei giovani. Le società fanno giocare i giovani perchè lo meritano o perchè “devono”, magari perchè stuzzicate da un premio in denaro?
“La cosiddetta “regola dei giovani”, nata per valorizzarli, in realtà rovina i giovani. Non c'è educazione, i ragazzi non riescono a capire se sono realmente bravi oppure no, quindi molti di loro potrebbero porsi delle domande: mi hanno scelto perchè merito o solo perchè ho l'età giusta?Tantissimi giovani poi vengono confinati sulle fasce o in porta, cosi nella realtà non ci sono miglioramenti qualitativi o del gioco. La regola ha un'intenzione positiva ma non porta risultati sperati, e considero un errore perseverare e pensare che sia la regola giusta. La rigidità del sistema sta portando il calcio alla deriva, al collasso. Ci sono poi gli allenatori che dicono “se io ho il giovane bravo lo faccio giocare a prescindere”, ma se a parole sono tutti bravi, in realtà sono pochi quelli che lanciano i giovani e sono disposti a farne giocare tanti nelle partite che contano”.
Qualcuno si lamenta che rispetto a vent'anni fa manca l'umiltà nel giovane che si approccia alla prima squadra:
“E' un atteggiamento figlio dei tempi, del mondo esterno al calcio, dove non c'è più confronto fra età diverse. Il rapporto vecchi/giovani viene a mancare perchè le due generazioni sono completamente contrapposte! Il giovane non capisce perchè il vecchio si comporta in un certo modo e viceversa, la forbice si allarga. La squadra è un po' come la famiglia, l'anziano dovrebbe prendere sottobraccio il giovane e guidarlo, purtroppo spesso nello spogliatoio manca il dialogo. Sto seguendo col mio lavoro di Mental Coach numerosi giovani atleti che giocano poco, che sono poco considerati, che non hanno un rapporto comunicativo soddisfacente coi “grandi”, e sentono il bisogno di una figura come la mia per essere accompagnati nel loro percorso”.
Come andrebbe impostato il rapporto del “vecchio” col giovane?
“Chi ha più intelligenza fra i due deve porsi nella condizione di aiutare l'altro. E' l'allenatore o il giocatore anziano che deve mettersi nell'ottica di essere un punto di riferimento per il giovane. La presunzione del giovane d'oggi è figlia delle regole base non rispettate: le società predicano bene e razzolano male, dovrebbero far rispettare maggiormente le regole, gli esempi, i valori, le buone maniere. Il primo che deve mettere in atto questi insegnamenti all'interno di uno spogliatoio è la persona più anziana. “Liberati dal bisogno e otterrai ciò che vuoi” è un motto che spesso utilizzo: se fai le cose per bisogno o necessità avrai sempre delle difficoltà, la società deve dare un'impostazione, delle regole e farle rispettare, non deve avere “paura” di perdere questi giovani”.
Al contrario esiste un problema “nonnismo” da spogliatoio?
“Lo spogliatoio è un luogo dove la presa in giro è alla base, poi ci sono le caratteristiche delle persone che vanno considerate, ci sono quelli più educati e quelli più duri. Ci sono limiti che non vanno valicati, ci sta lo scherzo goliardico, ma non si deve andare oltre. La capacità dell'allenatore e della società sta nel mettere insieme un gruppo coeso dove ci può anche stare il momento della goliardia, ma nel giusto modo”.
Insomma, nel rapporto “vecchio”-giovane il più esperto ha un'importanza fondamentale:
“Insegnerei sempre qualcosa in più dal punto di vista comunicativo al “vecchio” affinchè sia in grado di guidare il giovane. Il “vecchio” deve essere un esempio per il giovane. Compito dell'allenatore è esaltare e responsabilizzare la figura dell'anziano”.
Per ribaltare la questione dei fuoriquota qualcuno propone di schierare tutti giovani e soltanto tre fuoriquota “anziani”:
“Potrebbe essere una strada. Ma che fine fanno le centinaia di trentenni che sono ancora nel vivo della carriera? Forse occorre trovare soluzioni intermedie, legate al minutaggio, alla presenze, a mix assolutamente simmetrico fra giovani e vecchi. Non credo che dare un premio in denaro alle società sia la soluzione più corretta”.