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Calcio | 12 agosto 2019, 21:36

PROTAGONISTI Luca Cavallo

L'ex giocatore professionista si racconta

PROTAGONISTI Luca Cavallo

Nasce il 19 maggio 1973, lo battezzano Luca e che sia Cavallo non c'è dubbio. Nessun dubbio nemmeno quando in infanzia arriva alle giovanili del Genoa, il Cavallo è di razza. Centrocampista dal pensiero rapido ma dalle frequenze compassate, Luca arriva poco prima di compiere 20 anni ad esordire in Serie A, Torino - Genoa, finisce 1-1. Nella massima serie sono 26 le presenze totali, poi tantissime in B con Perugia, Monza, Ternana, Cagliari, Pescara, e Siena con cui conquista la promozione nella massima serie. Chiude la carriera a Sestri Levante in serie D, ha 36 anni, sente che è l'ora di smettere e di fare il salto al di là della linea laterale, per sedersi in panchina. Dopo una bellissima serata conoscitiva, durante la quale, abbiamo esplorato fino a notte fonda il pianeta calcio, gli abbiamo .chiesto un'intervista che ci ha gentilmente concesso.

Ciao Luca, da ex giocatore professionista ti chiedo di raccontarci cosa vuol dire essere professionisti nel mondo del calcio, quali sono le sensazioni che si provano, i sacrifici, le cose belle e quelle brutte?

Ciao a tutti, eh, cosa ti posso raccontare? sono riuscito a coronare il sogno che avevo da bambino, soprattutto ai tempi della mia gioventù, quando si masticava pane e calcio. Si giocava tutto il giorno a pallone, sognando la serie A e il professionismo, io, come ho detto, coronato il sogno di tutti i bambini che giocavano con me. Sono stato fortunato agli inizi, quando incontrai Mister Maselli che mi aiutò in varie fasi della mia vita, sia da ragazzino nelle giovanili, che poi in prima squadra. Il Genoa mi voleva cedere perchè al tempo ero piccolino e lui lottò per farmi rimanere, poi esplosi in tutto il mio metro e 86.

Hai raccontato di Mr Maselli come uomo, ce lo puoi invece descrivere come Coach, i suoi principi, le sue idee, se era legato ai vecchi tempi o se in qualche maniera fosse già moderno? Cosa lasciava ai suoi giocatori?

Sicuramente era un grande intenditore di calcio, un precursore dei tempi moderni, lavorava spesso con partitine intervallate da possessi palla, per quanto riguarda i suoi principi di gioco si basavano su un possesso palla atto a spostare e sconvolgere l'assetto degli avversari, non era mai fine a se stesso, ma appena si presentava l'occasione di far male dovevamo sfruttarla. Soprattutto nel settore giovanile voleva che la squadra partisse da dietro, percorrendo questi principi, arrivato in prima squadra dovette adattarsi alla legge dei punti ad ogni costo, adattandosi alle caratteristiche dei giocatori per farli rendere al meglio. Lo reputo un grande formatore che ha saputo tirar fuori dai settori giovanili tanti bravi giocatori.

Serie A, 26 presenze, che cosa prova un ragazzo di neanche 20 anni a esordire in una partita storica come Torino - Genoa, Partita che venne giocata già nel primo campionato italiano, vinto proprio dal Genoa nel lontanissimo 1898. Quali sono le sensazioni, i brividi che hai provato?

Eh si l'esordio fu a Torino, partita finita 1-1, in cui segnò Fortunato, un ragazzo che se ne andò troppo presto, e il mondo del calcio perse così un bravo giocatore, ma soprattutto un grande uomo. per quanto riguarda le emozioni provate a 20 anni per l'esordio in serie A, è difficile descriverle, perchè proprio grazie alla giovane età ero mentalmente molto libero, forse nei primi 20 minuti le gambe non girarono come dovevano, ma una volta sbloccatomi riuscii a fare una buona gara. Grande aiuto me lo diedero nello spogliatoio grandi uomini e giocatori come Signorini, Collovati, Bortolazzi, Onorati, Thomas Skuhravy. La mia fortuna fu averli a fianco fin dal primo allenamento.

Nella tua carriera seie A e B, ma chi sono i tre giocatori che più ti hanno strabiliato, come compagni o avversari?

Baggio, (silenzio, 3/4 secondi, una risata e poi) sceglierne tre non è facile avendo giocato contro grandi giocatori, comunque dico Baggio, Franco Baresi, e come compagno di squadra Thomas Skuhravy. Baggio oltre al campione che conosciamo tutti è un uomo molto umile, una grande persona, abbiamo fatto il corso Uefa A insieme ed è una persona eccezionale. Franco Baresi per quel poco che ci ho giocato contro, un grande leader silenzioso, con uno sguardo incredibile che dimostrava la sua grande personalità. Skuhravy invece, ha preso noi giovani, Panucci, Nicola e me, sotto la sua ala protettiva , regalandoci serenità,

Ora sarebbe interessante conoscere l'evoluzione, soprattutto mentale, che hai avuto dopo aver smesso di giocare e che ti ha fatto diventare coach.

Ho smesso di giocare a 36 anni, dopo che le ginocchia cominciavano a scricchiolare, e la testa, dopo il mio ritorno nei dilettanti, non mi mandava buoni segnali. Per ora non ho avuto molte esperienze in panchina perchè al giorno d'oggi non serve solo conoscere il calcio, studiarlo ed avere patentini, ma in molti casi c'è bisogno di uno "sponsor", cosa che non mi piace e a cui sono contrario, e quindi avrò sicuramente delle difficoltà. Mentalmente sono una persona a cui piace confrontarsi, aggiornarsi, anche aperto a modificare le mie idee, se ne incontro di più interessanti. Ricordiamoci sempre che poi bisogna sempre adattarsi ai giocatori che si hanno a disposizione, perchè poi sono loro che vanno in campo.

Ci siamo conosciuti qualche anno fa ad una serata "Pillole di Wein" a Sestri Levante, in cui Marcello Nardini ed io dimostrammo alcuni passi della metodologia del guru tedesco, qualche giorno fa ci siamo incontrati per fissare nuovamente alcuni concetti della metodologia "Barcelonista", che cosa è che ti spinge a conoscere il Wein-pensiero?

Proprio per quella voglia che mi pervade di tenermi aggiornato e sempre al corrente di nuove metodologie, mi sono avvicinato a quella di Wein, che è una delle poche che replica veramente quel "calcio di strada" di cui tanti parlano. Wein invece pone veramente il bambino al centro del progetto, avendo per obiettivo quello di farlo divertire. La proposta dell'inventore della "cantera blaugrana" è veramente simile al vecchio calcio giocato ai giardini, nelle piazze, perchè propone problemi che il giocatore deve risolvere, come è nel calcio vero, l'alternarsi di situazioni obbliga il giocatore a pensare ed ad adattarsi al continuo cambiamento. Quindi è una filosofia che mi piace e sposo completamente.

Ma cosa vuol dire per te pensare calcio?

Già da giocatore sono stato costretto dalle mie caratteristiche fisiche, che non includevano la rapidità di gamba, a dover pensare calcio, nel senso che ero costretto a dover leggere l'azione in anticipo. Da allenatore vuol dire non risolvere i problemi ai giocatori ma indirizzarli alla scoperta tramite domande che lo portano a prendere coscienza delle varie situazioni. Facendo così in partita avrà un rendez vous, un appuntamento, con situazioni già risolte e per lui sarà più facile affrontare la situazione. Questo percorso prevede che nella testa del giocatore ci siano già le soluzioni per problemi che si presentano in partita, soluzioni che ha trovato egli stesso e che quindi fanno parte del suo bagaglio cognitivo per sempre.

Come coach hai fatto un'esperienza in Grecia, ci vorresti parlare di questo e della grande fuga stile Alcatraz a cui hai assistito?

Come dici te sono stato nel 2014 ho avuto un'esperienza in nella serie B greca, nel Paniliakos, abbiamo fatto il ritiro qui in Italia alla Madonna della Guardia, e ci siamo allenati a Serra Riccò (GE), un'esperienza durata tre mesi, che sotto l'aspetto calcistico è stata importante, in squadra avevo molti giocatori di nazionalità diverse, quindi il confronto comunicativo non era facile, ma il linguaggio calcistico si è dimostrato veramente universale. Sotto l'aspetto societario invece c'è stato qualche problema, perchè la Grecia non stava attraversando un buon momento economico, quindi è successo anche che ho visto i miei ragazzi scappare dall'Hotel, calandosi con le lenzuola dei letti e mi sono impaurito ed ho deciso di rassegnare le dimissioni perchè era veramente difficile poter andare avanti, Ciò che mi conforta che con il mio staff, anche in una situazione limite come quella, siamo riusciti a formare un ottimo gruppo , infatti con i ragazzi, ancora adesso ci sentiamo ancora.

 

In questo momento cosa sta facendo Luca Cavallo, in che cosa sei impegnato?

In questi ultimi anni mi sono dedicato ai ragazzi, ho creato una scuola calcio su Chiavari, la Polisportiva Golfo del Tigullio, è stato possibile tenerla aperta per tre anni, poi per problematiche legate agli spazi abbiamo fatto una specie di fusione con la Lavagnese. Ho intrapreso un percorso in collaborazione con l'Udinese e con le società ad essa affiliate, sono il responsabile per il Piemonte, Sicilia e Lazio, lavoro che mi piace, che mi ha fatto crescere, in quanto mi sono aggiornato e confrontato quotidianamente con molte realtà, Sono contento, il prossimo anno credo di continuare in questa avventura e poi vedremo, spero di allenare presto.

 

Te lo auguro di cuore, grazie Luca per il tempo che ci hai concesso.

 

 

Marco Martini

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