Calcio - 08 marzo 2024, 18:33

“Servono riforme nel calcio”: fra necessità e opzioni

“Servono riforme nel calcio”: fra necessità e opzioni

 



Su una cosa sono bene o male tutti d’accordo: il calcio italiano ha bisogno di effettuare delle riforme. Ed è già un primo passo in avanti. Il problema però è che le idee sono molteplici, ed ogni schieramento suggerisce proposte diametralmente opposte da quelle dei rispettivi “avversari”. Quindi si può dire che il sistema calcio italiano è pronto al cambiamento, ma non sa ancora come farlo.

Di base i contrasti si sviluppano tra la Lega Serie A e la Figc. La Lega, ente che rappresenta esclusivamente il massimo campionato italiano, è guidata dal presidente Lorenzo Casini; la Federazione Italiana Giuoco Calcio invece, che include tutte le serie calcistiche italiane professionistiche e dilettantistiche, ha come punto di riferimento Gabriele Gravina. I due hanno opzioni e necessità molto diverse fra loro, così come logicamente è ben definito il differente seguito alle loro spalle.

Riforme nel calcio italiano: le richieste della Lega Serie A alla Figc

Le ultime settimane sono state a dir poco roventi fra i vari enti calcistici italiani, in continuo confronto sui temi più delicati del momento. Di base, la Lega Serie A vorrebbe acquisire più potere decisionale sulle situazioni che la coinvolgono direttamente, mentre invece la Figc vorrebbero mantenerlo.

Il primo obiettivo di Lorenzo Casini, presidente della Lega che rappresenta il massimo campionato italiano, è proprio quello di ottenere maggior libera iniziativa nelle decisioni che la coinvolgono in maniera diretta, proporzionalmente al peso economico e agli introiti che la Serie A garantisce al sistema calcio italiano. Infatti, nonostante la Serie A oggi produca l’85% dei ricavi del calcio italiano e sostenga l’intero sistema, la Lega può schierare soli 3 membri su 21 nel Consiglio Federale e conta solo per il 12% dei voti nell’Assemblea Figc; una fetta molto bassa, se si pensa che la Lega Nazionale Dilettanti – che ovviamente produce molto meno in termini economici – può schierare ben 6 membri al Consiglio Federale e conta addirittura per il 34% dei voti. La Serie A insomma pretende – legittimamente – di riordinare il suo peso in termini di governance.

Questo è uno degli aspetti cardine per il piano strategico proposto dalla Lega Serie A, e recentemente pare proprio che la Figc lo abbia capito. Sembra infatti che Gabriele Gravina sia disposto a concedere in parte un cambiamento: la Serie A potrebbe dunque avere non potere decisionale su tutte le situazioni che la riguardano direttamente, bensì diritto di veto sulle decisioni che impattano in maniera significativa sul massimo campionato.

Ottenuto questo principio di intesa, il quale comunque è ancora in via di sviluppo, la Lega Serie A potrebbe quindi pensare alle concrete riforme da attuare. L’obiettivo è chiaro: seguire il modello inglese della Premier League (che ha fatto lo stesso con la Federal Association) e staccarsi completamente dalla Figc. Per farlo, le proposte sono molteplici: dall’indipendenza piena degli arbitri al “salary cap” nelle rose, dall’abolizione della Legge Melandri sui diritti televisivi al ripristino del regime fiscale per gli impatriati – come previsto dal Decreto Crescita.

La Serie A da 20 a 18 squadre? Per il momento no

In questo contesto, la Lega Serie A ha tentato una prima concreta rivoluzione seguendo l’idea di ridurre i club professionistici da 100 a 80 – che la Figc sembrava aver sostanzialmente accolto. L’ultima idea sarebbe dunque quella di passare da un campionato da 20 squadre a 18, riformulando il modello delle retrocessioni e passando gradualmente appunto ad avere soli 18 club nel massimo campionato italiano. In questo caso, l’obiettivo è quello di ridurre il numero di partite per non sovraccaricare i giocatori, visto che in campo internazionale i calendari sono sempre più fitti ed intricati.

Ecco quindi che nell’ultimo vertice tra Lega Serie A e Figc gli animi si sono surriscaldati eccome. Le 3 big del campionato Juventus, Inter e Milan – a cui si aggiunge la delega della Roma – insieme a Gabriele Gravina hanno chiesto esplicitamente il passaggio da 20 a 18 squadre, facendo logicamente infuriare gli “esclusi” come Lazio e Napoli. Per il momento la proposta non è stata accolta, ma è chiaro come la situazione sia a dir poco incandescente e confusa; questa ipotesi di rivoluzione porterebbe anche un cambiamento nel settore del calcioscommesse, che vedrebbe un riformularsi dei pronostici studiati oggi.

La maggior parte dei club però, come detto, non si è mostrata aperta a questa rivoluzione, ed ecco che la proposta di Juventus, Inter, Milan e Roma non può essere accettata per il momento. Di fatti, il presidente Casini ha spiegato che è un diritto della Serie A scegliere con quante squadre partecipare e che le “criticità strutturali” dovranno essere corrette in altre categorie.

Detto, fatto. Il presidente della Figc Gravina ha quindi proposto un rimodellamento delle retrocessioni ed una conseguente diversa suddivisione delle mutualità (visto che chi scende in Serie B oggi può contare su un paracadute che va dai 10 ai 25 milioni di euro): la terzultima squadra classificata in Serie A non retrocederebbe direttamente in Serie B, ma dovrebbe giocare uno spareggio con la terza formazione classificata nel campionato cadetto. A questo sarebbe legato il blocco di ripescaggi e riammissioni, quindi riguarderebbe direttamente anche le squadre di Serie C. Tutto ciò per incentivare una sorta di accorpamento tra B e C, senza però toccare le 20 squadre della Serie A.

Discorso chiuso? Neanche per sogno. Se ne riparlerà nella prossima Assemblea Generale fra le varie Leghe professionistiche e la Figc, che inizialmente era in programma per l’11 marzo ma che quasi sicuramente verrà spostata per inizio aprile. Qui, dopo aver trovato l’accordo sui temi economici per far rientrare tutte le società nei criteri di sostenibilità entro la stagione 2029/30, si toccheranno tutte le tematiche suddette con un primo obiettivo in mente: ridiscutere del cosiddetto “diritto d’intesa”, vale a dire la possibilità per chiunque sia in disaccordo di far saltare il banco. Perché finché le cose stanno così, fare riforme è piuttosto complicato.

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